Parlare della relazione tra uomo e cavallo ci costringe a
guardare indietro, al primo umano che catturò, mangiò e poi
addomesticò un cavallo. Cinquemila anni fa, più o meno, una
lunga storia che si è evoluta con la specie umana, e certamente
grazie alla specie equina.
In principio era la magia, quella che faceva disegnare agli
uomini preistorici di Lascaux branchi di cavalli inseguiti dai
cacciatori: una proiezione del desiderio di tornare con una ricca
preda, e il pensiero magico di raffigurare una scena, come se
fosse già successa, e farla così realizzare per
davvero.
Le prime catture a scopo alimentare, i recinti in cui tenere
cibo vivo, la doma, e la scoperta della docilità del
cavallo, forte e irruente, ma in fondo grosso erbivoro predato.
Da qui in poi, è storia: sellato o attaccato ai carri e
allaratro, rapido mezzo di locomozione e macchina da guerra
e da fatica, il cavallo ha realmente contribuito a fare
luomo, prestandogli forza e potenza.
La meccanizzazione degli ultimi duecento anni ha gradualmente
spinto il cavallo al margine delle attività produttive primarie,
mentre attraverso lo sport si è sublimata la guerra, e le
monte da lavoro sono diventate sport.
Ieri e oggi, uomo e cavallo hanno lavorato insieme, diventando
artefici e protagonisti di una storia comune. Domani che
succederà?
Prima di spingerci nellinesplorato territorio del futuro,
sarebbe forse opportuno capire il perché di una relazione tanto
antica, i motivi che lhanno resa non solo così duratura,
ma soprattutto tanto profonda e forte.
Perché il cavallo e non la mucca, o il cane, così presente
anchesso nella storia umana? Il cane è stato adottato come
migliore amico, anche se poi le qualità che lo
rendono tale sono più vicine a quelle del fedele servitore o del
sottoposto nel branco in cui luomo è il capo. La mucca è
indubbiamente meno dinamica del cavallo, e forse per questo è
rimasta relegata al ruolo di fabbrica di latte e
carne, un bene strumentale più che una possibile
interlocutrice.
Il cavallo no: il cavallo è sentito dalluomo come pari
grado, nella diversità. Luno porta laltro, che lo
guida, in una sinergia tra due esseri complementari. Anche la
simbologia del Centauro sembra andare in questo senso: il cavallo
rappresenta la parte bassa e istintuale, luomo ci mette la
testa: ognuno dà il meglio di sé nella creatura ibrida.
Pensiamo invece al Minotauro, istinti bassi mutuati
dalluomo e testa di toro: cambiando lordine dei
fattori, in questo caso, il prodotto cambia, e la creatura nel
Labirinto è indiscutibilmente un mostro, mentre il Centauro
riesce a farsi perdonare gli eccessi animaleschi con una scienza
superiore a quella umana.
Forse, allora, il cemento della relazione è proprio la
complementarità, in una declinazione possibile degli opposti che
si attraggono. Uomo e cavallo sono diversi, ma insieme stanno
bene, perché si completano. Questo è stato chiaro in passato,
nei simboli come nella storia, ed è evidente ancora oggi, con il
nuovo o rinnovato- interesse verso lindividuo-cavallo:
basti pensare alle discipline etologiche, la doma
dolce in testa, alle proposte di legge contro il commercio
a scopo alimentare del cavallo o a quella sulla polivalenza del
suo impiego, e non ultima- allattenzione verso le sue
doti di (co)terapeuta nella riabilitazione.
Un esempio di quanto sia capillare la presenza della
cultura equestre nella nostra società viene proprio
in questi giorni da un prestigioso e autorevole mensile di moda.
Dopo avere ribadito che tra le tendenze in della stagione autunno-inverno
ci saranno linee e accessori mutuati dal mondo dellequitazione
o dei cowboys, il numero in edicola propone tre articoli
ambientati nel mondo equestre o con riferimenti ad esso. Il
cavallo appare anche nelle pubblicità: in una lo vediamo
bianchissimo sulla soglia di quello che sembra un labirinto, al
fianco di una fanciulla. Sempre con una ragazza, unaltra
casa di mode lo rappresenta come un Arlecchino, forse pensando al
piacere di giocare con il cavallo e con i colori. Ma non basta:
su una delle pagine dedicate agli accessori, campeggia a mo
di titolo, lormai popolare termine di Ippoterapia, a
suggerire probabilmente il valore terapeutico dello shopping, se
le cose acquistate sono in qualche modo legate al cavallo. La
moda, cui è chiesto di cogliere i tempi e anticiparli, fa il suo
dovere.
Interessante seguire il cammino dellippoterapia, prescritta
come cura anti-insonnia da Ippocrate di Coo tra il quarto e il
quinto secolo a.C. , e oggi approdata su un giornale di moda. In
mezzo, anni e anni di lavoro di professionisti che si sono
inventati pionieri di una pratica la cui validità è ormai
riconosciuta sul campo, ma non ancora in Parlamento. Se è
auspicabile che questo accada in tempi brevi, previa
sperimentazione scientifica, per consentire agli
ippoterapeuti di avere percorsi formativi e regole
comuni, garantendo agli utenti il diritto di scegliere una cura
ufficiale e per questo mutuabile, ancora più necessario è
ripensare lintero mondo che ruota attorno al cavallo,
proprio in virtù della relazione privilegiata che lo lega alla
storia e alla cultura delluomo.
Cavallo pervasivo, abbiamo visto, e davvero
polivalente, se campeggia nella moda e in pubblicità,
nello sport e nelle pratiche riabilitative: cavallo sociale,
cavallo nel sociale.
Equitazione sociale, forse?
Diversi ma non estranei, colleghi e compagni dalle diverse (e
ugualmente valide) competenze, uomo e cavallo hanno a lungo
camminato insieme su una strada non facile e ancora molto lunga.
Il territorio da attraversare è quello del sociale, un terreno
di gioco e di scambio, oggi che al cavallo viene riconosciuto
pieno status di interlocutore.
Senza scendere in campo, ma tracciando un percorso
partito da lontano, uomo e cavallo raggiungeranno insieme nuove
destinazioni: dove e con quali nomi, forse, è ancora presto per
dirlo. E poi, si sa, quello che conta, in un viaggio, è il
cammino più della meta.
Luisella
Battaglia
Per
chi suona la campana dellingratitudine?
Un
vecchio cavallo scacciato dal padrone giunge, nel suo vagabondare,
in una cappella dove mette casualmente in movimento una campana
che vien fatta suonare da quanti siano stati vittime di
uningratitudine. Lantico racconto greco, ripreso da
Immanuel Kant nelle Lezioni di etica, fa parte di una
complessa argomentazione relativa ai nostri doveri verso gli
animali. Dal modo in cui tratta questi ultimi può conoscersi,
secondo il grande filosofo tedesco, il cuore di un uomo.<Un
padrone che scacci via il suo asino o il suo cane, perché ormai
inservibili, rivela un animo meschino>. Kant parte dalla
constatazione che, poiché gli animali posseggono una natura
analoga a quella degli uomini, se essi hanno servito a lungo e
fedelmente il loro padrone ciò si configura come unazione
meritevole che, pertanto, richiede la nostra lode; quando essi
non saranno più in grado di renderci i loro servizi dovremmo
trattenerli presso di noi fino alla morte. In tal modo, <osservando
dei doveri verso di loro, osserviamo dei doveri verso
lumanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano>.
A
questa visione mi sembrano sostanzialmente ispirarsi le proposte
di legge che intendono proibire luccisione di cavalli
che hanno lavorato per tanti anni con e per luomo;
creare delle oasi in cui ospitare i cavalli anziani; vietare
lutilizzo di cavalli in gare, corse, spettacoli contrari
alla loro natura; impedire menomazioni fisiche dolorose e lallontanamento
dalla madre dei piccoli puledri; istituire unanagrafe
equina; proteggere anche tutti gli altri equidi: asini, muli,
bardotti.
Al
centro delle suddette proposte è, come si vede,
lidea di considerare il cavallo un <animale di affezione>,
di farlo passare dalla categoria dei buoni da mangiare a
quella dei buoni da pensare, per riprendere la
classificazione che adoperiamo ordinariamente per distinguere gli
animali, rendendo gli uni-- i cosiddetti animali
familiari, cani, gatti etc.dei soggetti degni
di rispetto e di considerazione morale e gli altrii
cosiddetti animali da reddito, vitelli, maiali, etc.degli
oggetti che valgono quanto vale il prodotto finale cui
danno origine.
La
distinzione, in realtà, è del tutto convenzionale, non
rispecchia certo un ordine naturale (anche se spesso abbiamo la
tendenza a ritenere naturale ciò che la nostra cultura ci
ha insegnato). Un esempio? In taluni paesi, come
Lorigine
culturale della classificazione emerge nettamente dinanzi a un
animale, come il cavallo, che rappresenta un tipico caso di
confine, in quanto appartiene a entrambe le categorie.
Proprio tale ambivalenza--la contemporanea appartenenza a due
mondi per noi incomunicabilise, da un lato, evidenzia la
convenzionalità delle ragioni che presiedono alle nostre
classificazioni, dallaltro, ci mostra che dipende
drammaticamente solo da noi, da una nostra decisione
promuovere un animale dalla sfera degli oggetti a quella dei
soggetti.
Perché,
ci si potrebbe chiedere, questattenzione particolare per i
cavalli? Forse perché nei loro confronti luomo ha
contratto un debito assai speciale: bestia da soma, carne da
macello, compagno darme e di giochi sportivi, il cavallo è
stato un vero e proprio ausiliario delluomo
nella sua storia millenaria. Quanto durerà la nostra
ingratitudine per la sua fedeltà, la generosa dedizione, la
silenziosa amicizia?
In
pagine indimenticabili Omero attribuisce ai cavalli di Achille,
Xanto e Balio, intelligenza, comprensione degli eventi, affetto,
capacità di soffrire. Lacrime cadono dai loro occhi per la morte
di Patroclo che hanno visto soccombere sotto i colpi di Ettore:
oppressi dal dolore, piegano le teste e le belle criniere fino a
terra, rifiutando di muoversi malgrado gli incitamenti del loro
auriga. Ne ha pietà perfino Zeus che si rammarica di aver donato
al mortale Peleo cavalli immortali, destinandoli così a tanti
patimenti.
Nel
deprecare le atrocità commesse ai danni di animali al servizio
delluomo, il filosofo Schopenhauer rileva come <i
cavalli anche in vecchiaia vengono strapazzati fino allo stremo
delle forze finché non crollano sotto le bastonate del padrone>e
conclude: <il più grande beneficio arrecato dalle ferrovie è
che esse risparmiano unesistenza disgraziata a milioni di
cavalli da tiro>.
Oggi
viviamo in un mondo che sempre più, grazie alle tecnologie,
riduce la nostra dipendenza dal lavoro animale; oggi saremmo in
gradose solo lo volessimodi vivere con gli
animali e non più contro di loro o a spese loro.
PETIZIONE PER LINSERIMENTO DEL CAVALLO FRA GLI ANIMALI DA AFFEZIONE
Al Palamento Europeo
LINSERIMENTO DEL CAVALLO FRA GLI
ANIMALI DA AFFEZIONE
Considerato che da sempre il cavallo ha
scritto la storia insieme alluomo
considerato che il cavallo protagonista
in terapie di sostegno per disabili ,traumatizzati,contro stress-
depressione e varie patologie di disagio mentale e sociale
stabilisce con luomo un rapporto di affezione anche
di per sé riabilitativo(ippoterapia)
considerato che i cavalli
dellesercito sono stati di recente in Italia-
risparmiati da aste e macello ed è stato loro riconosciuto il
diritto ad una serena pensione
considerato il riconoscimento loro dovuto
per i successi fatti riportare nei concorsi ippici /attività
sportive,agonistiche e ludiche
considerata infine levoluzione
culturale e la nuova attenzione verso la condizione animale
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quando e'accaduto che
luomo e il cavallo si sono incontrati per la prima volta e
soprattutto come è avvenuto questo incontro? I dati archeologici
in materia sono pochi, incerti e frammentari e se sono in grado
di darci qualche vaga indicazione sul quando, non possono
purtroppo dirci nulla sul come. Più che di dati, comunque,
sarebbe giusto parlare di indizi, teorie, interpretazioni che
utilizzano una serie di prove indirette. Su una cosa però
concordano tutti: le prime tracce di una presenza
domestica del cavallo non risalgono a prima di 7.000
anni fa.
Due sono i siti più studiati: quello di Dereivka ( in
Ucraina) e quello di Krasni Yar ( in Kazakistan) entrambi
databili intorno a quella data. Lantropologo
americano David Anthony, che si è occupato appunto del sito di
Dereivka, ritiene di aver individuato nei resti dei cavalli
rinvenuti in loco i segni di una usura dei premolari che
testimonierebbe lutilizzo del morso. A confermare tale
ipotesi è giunta la scoperta, in un deposito rituale, delle ossa
di uno stallone al cui fianco erano stati disposti dei frammenti
perforati in corno di cervo, che avrebbero potuto essere i
sostegni di una rudimentale imboccatura di corda. Secondo il
dottor Anthony, questo starebbe a significare non solo la
presenza di cavalli domestici, ma addirittura il loro utilizzo a
sella (o meglio a pelo) visto che la ruota al tempo
non era ancora stata inventata.
Si tratta però, come dicevo, di ipotesi altrettanto
autorevolmente smentite da altri studiosi che sottolineano come
la presenza di scheletri equini, in questi siti preistorici,
potrebbe essere del tutto occasionale e comunque limitata ad
utilizzazioni di tipo rituale. Il collegamento simbolico del
cavallo ai riti funerari e al viaggio che attenderebbe
lanima dopo la morte si perde infatti nella notte dei tempi.
Certo è possibile che qualche rappresentante della specie sia
stato adottato in tenera età da qualche gruppo umano. Ed è
possibile pensare che qualche ardimentoso (o incosciente?) abbia
avuto lalzata di ingegno di montarci sopra, ma da qui a
parlare di allevamento del cavallo e del suo utilizzo equestre ce
ne corre.
Comunque siano andate le cose, per trovare i primi dati
storici certi dobbiamo spostarci di molto nel tempo e nello
spazio. Lo spazio è lAnatolia ( la moderna Turchia),
il tempo circa 4000 anni fa. E in questo luogo che sono
stati rinvenuti degli scritti e dei manufatti che testimoniano
dellutilizzo in guerra del carro trainato da cavalli. Va
tenuto conto che almeno durante il primo lungo periodo
delladdomesticazione del cavallo, il suo utilizzo era
soprattutto come forza motrice sia in pace che in
battaglia. Ma la cosa più sorprendente è che in una lettera di
un comandante siriano indirizzata a un nobile locale
e datata 3.750 anni fa, si fa osservare che per la dignità del
suo stato non doveva presentarsi a cavallo bensì su un carro
trainato da cavalli! La cosa a pensarci bene non sorprende poi
tanto: lequitazione senza sella né staffe non doveva
essere al tempo unattività né facile, né piacevole né,
soprattutto, sicura. Non è un caso, quindi che il primo
trattato di ippologia di cui abbiamo memoria storica
ci racconti le tecniche di addestramento del cavallo attaccato al
carro da guerra. Si tratta di unopera risalente a circa 3.500
anni fa scritta su tavolette di argilla, della quale ci è noto
anche il nome dellautore, il guerriero Hittita Kikkuli. Poi
per mille anni è il silenzio fino alla cultura greca e alle
opere di Simone di Atene e di Senofonte
ma questa è
unaltra storia.
I presunti progenitori del cavallo sono apparsi sulla terra circa 55 milioni di anni fa.Gli evoluzionisti hanno una buona conoscenza del processo evolutivo che ha portato alla specie attuale (vedi anche Evoluzione del cavallo). Gli studi sui fossili dimostrano che il probabile progenitore dell'odierno cavallo (Hyracotherium) era alto non più di 30-40 cm al garrese ed i suoi arti avevano almeno 4 dita; il suo ambiente era la foresta ed aveva una dentatura di tipo onnivoro. Durante il processo evolutivo, i suoi discendenti si adattavano progressivamente alla condizione di erbivori stretti e alla vita nelle praterie; la statuta aumentava, gli arti diventavano più lunghi, diminuiva il numero delle dita e i denti si modificavano progressivamente aumentando in lunghezza e nei caratteri della superficie masticatoria. Il cavallo odierno, Equus caballus, e gli altri appartenenti del genere Equus poggiano sull'unico dito rimastogli: il medio. In America, il cavallo si estinse in epoca preistorica, contemporaneamente ad altri grandi mammiferi; fra le ipotesi per tali estinzioni, il disturbo antropico costituito dalla caccia da parte dell'uomo. Sopravvissuto in Europa e Asia, la prima evidenza storica dell'addomesticamento del cavallo si ha in Asia Centrale verso il 3000 a.C. Un progenitore dei cavalli attuali è considerato il tarpan, un cavallo selvatico europeo ufficialmente estinto nel 1876.Quando, nel 1519, l'esigua schiera di Spagnoli capitanata da Ferdinando Cortes s'inoltrò fra le gole e i deserti del Messico, si vide fatta segno da parte degli indigeni a straordinarie manifestazioni di rispetto e di deferenza: gli Aztechi veneravano nei pallidi guerrieri venuti dal Levante i compagni di Queztalcoatl, il dio fondatore della stirpe, signore del tuono e della folgore, dal torso d'uomo e dal corpo belluino. Non avevano mai visto un cavallo, quegli ingenui sudditi di Montezuma, e credevano che gli Spagnoli fossero tutt'uno coi loro animali, come giganteschi centauri. In America, infatti, fino all'arrivo degli europei, il cavallo era del tutto sconosciuto: e ciò appare piuttosto strano a noi, che siamo abituati da millenni a considerarlo come il compagno indivisibile dell'uomo in tutte le sue imprese di guerra e di conquista. In Europa e in Asia esso compare fin dalla più remota preistoria; senza risalire all'età paleolitica (sulla parete di una grotta della Dordogna è dipinto un bellissimo cavallo in corsa, che risale a forse 50.000 anni fa), basta pensare alle civiltà degli Arii in India, dei Cinesi e dei Giapponesi in Estremo Oriente, degli Assiri e degli Ittiti nel Mediterraneo, per vedere, protagonista di ogni fatto storico, l'uomo a cavallo. Greci e Romani avevano per i cavalli, per le corse dei cocchi, per l'equitazione, una passione che rasentava il fanatismo: Caligola, il folle imperatore, arrivò a creare senatore il suo cavallo Incitatus, e a fargli costruire una scuderia di marmo e d'argento. Dalle gradinate del Circo Massimo le grida frenetiche di 200.000 spettatori accompagnavano il galoppo delle quadrighe; spesso, fra i sostenitori delle due parti avverse, scoppiavano zuffe sanguinose. Crollò anche l'impero romano, con la sua decadente e raffinatissima civiltà forse una delle poche cose che sopravvissero a tanto sfacelo fu l'arte equestre, che si venne sempre più affermando come privilegio della nobiltà. Le pianure di Maremma e di Normandia fornivano ai cavalieri medioevali i massicci stalloni da guerra, capaci di sopportare il peso delle grevi armature: e si può dire che, dal XII fino al XVII secolo, fino a quando, cioè, gli Inglesi cominciarono ad incrociare i loro cavalli con quelli arabi, gli allenamenti, i metodi, e i mercati italiani dominarono il mondo ippico d'Europa. Oggi esistono decine di razze equine, spesso assai diverse l'una dall'altra, adatte ai più svariati compiti. Così l'Hackney, inglese, un bel animale dalle forme robuste, che si presta sia al tiro leggero che alla sella; il Pony, piccolo e tozzo la cavalcatura prediletta dai bambini; il cavallo da polo, simile al precedente, allevato appositamente per questo gioco; lo Shire, un mastodontico cavallo da tiro, dalle zampe larghe e pelose, pesante fino a 10 quintali. In Oriente dominano il cavallo Arabo e il Berbero; piuttosto piccolo il primo, grigio pomellato, resistente e velocissimo; più robusto, di mantello rosso o roano, il secondo. Da incroci fra cavalli arabi e inglesi è nato, come si è detto, quel magnifico campione di velocità e di resistenza che è il purosangue inglese, dominatore degli ippodromi. Ottime razze sono pure la Normanna, adatta al tiro pesante, e l'Andalusa, indigena della Spagna, che produce cavalli vivaci e di bell'aspetto. In Italia abbiamo l'eccellente cavallo Sardo (o meglio, Arabo-Sardo, perché ottenuto originariamente da incroci con Arabi), il Maremmano, che costituiva il nerbo della nostra cavalleria, il Lipizzano, uno splendido cavallo di parata che si alleva nell'Istria, dal pelame bianchissimo. Da più di un secolo sono stati importati alcuni esemplari di purosangue inglesi da corsa; oggi gli allevamenti italiani di galoppatori sono tra i primi al mondo (gli sportivi ricordano ancora il grande Nearco, il puledro italiano che passò come un trionfatore sugli ippodromi d'Europa; fu venduto ad allevatore inglese per una somma pari a quattrocento milioni di lire). Nelle corse al trotto dominano invece, incontrastati, gli allevatori americani; anche i trottatori europei sono tutti originari d'oltre Atlantico. L'equitazione, che in Italia è stata rivoluzionata dal capitano Caprilli, ha raggiunto forse il suo massimo livello tecnico; è difficile pensare che i cavalieri futuri riescano a trovare qualcosa di nuovo in un'arte che viene praticata da migliaia d'anni. L'allevamento, invece, attende dalla scienza nuovi impulsi; effettivamente, oggi otteniamo cavalli migliori di quelli che si avevano solo cent'anni fa, tant'è vero che i record's sul miglio si abbassano di anno in anno. Il purosangue che vediamo sfilare davanti alle trincee prima della corsa, fremente di vita sotto il serico mantello baio o sauro, è il frutto di lunghi studi, di sapienti accorgimenti: per accrescerne le doti di resistenza e di velocità, per adattarlo al terreno elastico o pesante, per imprimergli lo spunto veloce ai nastri o sul traguardo, allevatore e trainer hanno dovuto spiegare tutta la loro esperienza e la loro sagacia. E quando il puledro rientra al peso, madido di sudore e con gli occhi iniettati di sangue, dopo la vittoriosa galoppata sulla pista erbosa, gli uomini che l'hanno curato e allenato lo accarezzano con gli occhi umidi dalla commozione: e in quel gesto è tutto l'amore dell'uomo verso il nobile animale che dai lontani, oscuri giorni della preistoria lo ha accompagnato nel suo lungo cammino.Testi tratti da:Enciclopedia VITA MERAVIGLIOSA Edizioni M. Confalonieri. |
Il Tarpan |
Il tarpan (Equus ferus gmelini) è una sottospecie di cavallo selvatico europeo, estinto nel 1876, progenitore dei cavalli attuali. Negli anni Venti del XX secolo due zoologi tedeschi, i fratelli Lutz e Heinz Heck, tentarono di ricostruire la razza dei tarpan attraverso esperimenti di selezione. Heinz Heck fondò lo zoo di Monaco e ne fu direttore per molti anni, mentre Lutz Heck ricoprì la stessa carica allo zoo di Berlino. I due fratelli si erano già dedicati alla ricerca per far tornare in vita anche un'altra specie estinta di mammifero ungulato europeo: il bue selvatico, chiamato Uro. Incoraggiati dal successo ottenuto con gli uri, i fratelli Hack passarono alla realizzazione del tarpan. Dapprima selezionarono alcune razze di pony, dato che il tarpan era più piccolo dell'attuale cavallo. C'erano però due problemi; in primo luogo non esistevano razze di cavalli domestici che avessero il mantello di color grigio-topo tipico del tarpan, e in secondo luogo, nessuna razza esistente del cavallo aveva la caratteristica criniera corta e dritta dei tarpan. Il problema della criniera venne risolta con una sottospecie superstite dei cavalli selvaggi, i Przewalski della Mongolia. Il color grigio-topo venne invece risolto naturalmente, infatti tale colore apparve spontaneamente in alcuni puledri appena nati. Come già avvenuto per gli uri, i neo-tarpan risultarono più resistenti alle infezioni e al rigido clima siberiano rispetto ai cavalli domestici. Alcuni tarpan così ricreati furono introdotti nel Parco Nazionale polacco di Biebzra e, nel novembre del 1995, alcuni esemplari furono portati dalla Polonia alla riserva naturale della East Anglian in Gran Bretagna. Nel luglio del 1996 una femmina diede alla luce un puledro. Era il primo tarpan che nasceva in Gran Bretagna dopo più di 10.000 anni.. |